lunedì 15 aprile 2013

Fu italiana la prima moneta in euro commemorativa

Fu italiana la prima moneta in euro commemorativaChi non le colleziona ha la tendenza a non osservare affatto cosa vi sia riprodotto sulla faccia di una moneta è tuttavia doveroso notare come l'introduzione delle monete in euro abbia risvegliato l'interesse per il collezionismo numismatico focalizzando l'attenzione degli utenti proprio sui soggetti presenti nelle diverse emissioni. Pochi però sono stati messi al corrente nel 2004 della partecipazione italiana alla lotta contro la fame nel mondo attraverso l'emissione di una moneta commemorativa da 2 euro che detiene il primato di prima moneta in euro effettivamente commemorativa. Come tutte le altre monete da 2 euro è composta in due materiali: l'esterno in rame-nichel e l'interno in nichel-ottone per un peso complessivo di 8,5 grammi e diametro di 25,75 mm. Il rovescio riporta la convenzionale cartina europea parziale affiancata dalla cifra “2” e sulla destra dal monogramma “LL” componente le iniziali di Luc Luycx autore del bozzetto. Al dritto è presente una stilizzazione del globo terrestre al cui interno compare la scritta su tre linee “WORLD FOOD PROGRAMME”. Intorno si notano le tre componenti fondamentali dell'alimentazione umana: il grano, il riso ed il mais. Sulla destra trova posto il monogramma “RI” di Repubblica Italiana e la sigla “UP” per le iniziali della bozzettista Uliana Pernazza. A sinistra il marchio “R” per la Zecca dello Stato e la data “2004”. Il cerchio esterno è decorato con le 12 stelle dell'Unione Europea. Al momento dell'emissione era possibile avere la moneta in una confezione speciale versando una donazione minima di 10 euro al PAM ovvero “Programma Alimentare Mondiale” corrispondente all'inglese “WFP” all'epoca condotto da James Morris. Nel comunicato ufficiale del PAM era appunto posta l'attenzione sull'inequivocabile assunto per cui l'illustrazione della moneta non avrebbe potuto essere miglior veicolo pubblicitario all'organizzazione. Probabilmente un certo effetto pubblicitario l'iniziativa deve averlo sortito in quanto se andiamo a vedere le donazioni del 2004 presenti sul sito del WFP possiamo subito notare che quelle italiane corrisposero a 47.928.778 dollari che nel 2005 scesero a 45.789.764, nel 2006 a 12.392.022 e nel 2007 risalirono a 31.601.484 per poi salire ancora nel 2008 a 101.794.434 mentre nel 2009 tornarono a 30.055.508 ma attualmente (2012) si attestano a poco più di 10.000.000 probabile effetto della crisi finanziaria in cui versa la nazione e di un non ancora disponibilità di dati certi. Il totale delle donazioni da parte di tutte le nazioni del mondo ammonta ad una cifra pari a 2.234.411.931 dollari USA e fa ben comprendere come il World Food Programme sia l'organizzazione dedita a combattere la fame nel mondo più importante e prestigiosa. L'utilizzo di tali fondi è focalizzato principalmente verso gli interventi diretti a persone che hanno perso ogni avere a causa di guerre o disastri naturali creando nell'immediato veri centri di distribuzione alimentare che successivamente si trasformano in guide verso un nuovo sviluppo economico che consenta alle popolazioni interessati di affrancarsi dalla necessità di interventi umanitari.

Pubblicato il 5 luglio 2012 su www.noicollezionisti.it
Distribuito in base alla licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 Italy Licenza

Lira: Dal XV secolo alla vigilia dell’Unita’ d’Italia (seconda parte)

Di STEFANO PODDI
Lira : banca austriaca[vai alla prima parte] La svalutazione delle varie lire, usate ancora come unita’ di conto, era un fenomeno tipicamente italiano, mentre la lira tornese di Francia e la lira sterlina inglese mantenevano sostanzialmente il loro potere di acquisto.
Il deprezzamento non era un movimento continuo bensi’ una serie di fasi di stabilita’, della durata tra i dieci e i venticinque anni, alternate a periodi di slittamento del denaro rispetto alla lira. Ma gia’ negli ultimi decenni del secolo XV si verifico’ un sostanziale consolidamento, in quanto grazie ai portoghesi e alla loro ricerca delle zone aurifere, aumento’ il flusso d’oro in Europa, mentre per quanto riguarda l’argento, l’attivazione di miniere nel Tirolo e nella regione sassone-boema, fece aumentare considerevolmente l’argento che arrivava in Italia in cambio di merci. Nel XVI e XVII secolo, per mezzo dei giacimenti d’argento e d’oro dell’America spagnola e portoghese, aumento’ considerevolmente il flusso di metalli preziosi verso l’Europa. Possiamo dividere gli anni che vanno dal 1500 al 1700 in tre periodi: dal 1500 al 1550 mezzo secolo caratterizzato delle guerre spagnole contrassegnate da carestie, devastazione e pestilenza; dal 1550 al 1620 settanta anni di ricostruzione e di espansione economica, e dal 1620 al 1700 un periodo di declino economico e di passaggio per l’Italia al rango di paese sottosviluppato. Nel 1562 nel Ducato di Savoia, Emanuele Filiberto, tramite una generale riforma monetaria, tento’ invano di reintrodurre il sistema di conto di lire, soldi e denari; impresa questa che riusci’ invece a Vittorio Amedeo I, che nel 1631, riporto’ in tutto il Piemonte il sistema di lire, soldi e denari al posto di quello vigente, importato dalla Francia che prevedeva denari, quarti, grossi e fiorini. Il settecento fu il secolo delle riforme anche in campo monetario, le riforme localmente delimitate ebbero caratteristiche diverse, ma ispiratrice di ognuna di esse era la teoria monetaria dei filosofi illuministi, che possiamo tentare di sintetizzare in alcuni punti salienti: 1) stabilizzare la parita’ metallica delle monete. 2) controllare la circolazione della moneta piccola o moneta erosa. 3) razionalizzare il sistema di multipli e sottomultipli della moneta unitaria di base. 4) mantenere l’esatto rapporto di intrinseco fra i multipli e i sottomultipli delle monete coniate e anche rispetto al cambio nominale e legale fra oro, argento e rame. 5) fare in modo che un determinato numero di lire, pagato nei diversi Stati, corrispondesse alla stessa quantita’ di metallo fino. Purtroppo alla enunciazione di questi sanissimi principi di circolazione monetaria non segui’ la loro completa realizzazione, a causa dell’effetto combinato delle inadempienze, delle cosidette eccezioni e degli errori. La seconda parte del secolo XVIII venne caratterizzata da una relativa stabilita’ monetale e alla vigilia della Rivoluzione Francese la lira era coniata secondo queste modalita’: la lira sabauda di 0.35 gr. d’oro, la lira genovese di 0.22 gr. d’oro, la lira milanese di 0.24 gr. d’oro, la lira veneziana di 0.16 gr. d’oro e la lira fiorentina pari a 0.26 gr. d’oro. In Francia invece circolava la lira tornese, divisa in 20 soldi o in 240 denari, contenente 0,29 gr. d’oro fino, ma durante la Rivoluzione Francese, nel 1793 una legge stabili’ che i conti delle spese pubbliche invece di essere tenuti in lire, soldi e denari, dovevano essere tenuti in lire, decimi e centesimi. In seguito con la legge del 17 Germinale anno XI (28 marzo 1803) Napoleone normo’ le riforme progettate sotto la Convenzione e il Direttorio ponendo alla base del sistema monetale francese il franco in argento da 100 centesimi, di 5 g. di peso e in lega al 900/1000, con un rapporto oro/argento di 1 a 15,5. Tale riforma venne estesa al Regno italico con Decreto n. 21 del 21 marzo 1806, dove la nuova unita’ monetale aveva le stesse caratteristiche del franco francese ma era denominata lira italiana, anch’essa ripartita in 100 centesimi, unificandone per la prima volta il valore in tutto il Regno d’Italia. In seguito l’effetto della Restaurazione si fece sentire secondo forme e modalità differenti: negli Stati Sabaudi si tento’ dapprima di tornare al sistema prerivoluzionario della lira divisa in 20 soldi e ognuno di questi ripartito in 12 denari, ma poiche’ era ormai invalso l’uso di contare i franchi in cento centesimi, si decise di adottare un sistema monetario basato sulla partizione napoleonica; quindi nel 1816, tramite Regie Patenti, Vittorio Emanuele I ordino’ che l’unita’ monetaria locale fosse la lira nuova di Piemonte suddivisa in centesimi di lira. Mentre in Toscana, nel 1826 il Granduca autorizzo’ la zecca a emettere un moneta d’argento chiamata Fiorino suddivisa in 100 quattrini. Nel Lombardo-Veneto le vicende in tema di circolazione monetaria furono piu’ complesse, dapprima alle monete del periodo napoleonico vennero affiancate monete austriache d’oro e d’argento, poi Francesco I attraverso Sovrana Patente introdusse un nuovo ordinamento monetario su base bimetallica con la lira austriaca, poi ancora dal 1858 fu varato un ulteriore sistema monetario che si basava sul fiorino valuta austriaca, che rimase in voga fino all’arrivo dei Piemontesi.

Pubblicato il 11 aprile 2013 su www.noicollezionisti.it
Distribuito in base alla licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 Italy Licenza

Lira : dalle origini alla lira Tron (prima parte di una lunga storia)


Lira : denaro di Carlo Magno Di STEFANO PODDI 
La lira e’ il simbolo monetale che ha attraversato le vicende e la storia dell’Occidente, dall’Antica Roma, attraverso il Medioevo e il Rinascimento, fino ai nostri giorni quando, insieme alle altre monete europee, ha contribuito alla nascita dell’Euro, la moneta unica della Comunita’ Europea. Proviamo ora a ripercorrere questa storia complessa e affascinante attraverso il corso dei secoli. La storia della lira inizia nell’Antica Roma, tra il 218 e il 211 a.C., quando venne coniato il primo denario, la moneta d’argento che divenne l’unità monetaria delle Repubblica, e poi, dell’Impero Romano. Con l’avvento del denario, o più semplicemente in italiano denaro, inizialmente costituto da 4,55 grammi d’argento, la libra diventò l’unita’ di riferimento per il peso legale delle specie monetarie, determinato in 327 grammi, con cui si potevano coniare 72 denari. In Europa, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C., si verificò una proliferazione di emissione di monete con valori e caratteristiche differenti, che venne superata solo cinque secoli dopo, con la riforma monetaria di Carlo Magno. Con questa riforma, attuata tra il 781 e il 794, la libbra divenne, non solo l’unita’ ponderale, ma anche una unità di conto del nuovo sistema monetario, il nome “lira” deriva infatti dalla accezione latina della parola libra, basato sul monometallismo e incentrato sul denaro d’argento. Da ogni libbra d’argento puro le zecche dovevano coniare 240 denari, contenenti ognuno circa 1,36 gr. di argento fino, per cui l’insieme di 240 denari corrispondeva ad una lira come unita’ monetale di conto e a una libbra d’argento fino. I Carolingi in questo modo riuscirono a creare in Occidente un’unica area di influenza monetaria autonoma, distinta dall’area monetaria bizantina e da quella musulmana. In quello che in futuro sarebbe stato il territorio italiano, la lira venne utilizzata dalle Alpi fino a Roma, mentre nel sud prevalse la moneta araba o musulmana. In seguito, nei vari Stati italiani, vennero coniate delle monete multipli del denaro per adempiere alla funzione di mezzo di scambio nelle transazioni all’ingrosso e in quelle internazionali. 
Lira : Genovino del 1252  Nel periodo che va’ dalle riforme carolinge alla fine del secolo X le zecche che operavano sul territorio italico: Pavia, Milano, Verona, Lucca a Treviso (che nel 850 circa venne incorporata in quella di Verona); avevano mantenuto una coniazione di monete omogenea. Ma dall’inizio del secolo XI, nelle contrattazioni e negli scambi, le monete divennero sempre piu’ utilizzate, in particolare nei centri cittadini, incrementando notevolmente la domanda di moneta, mentre l’offerta di metalli preziosi, necessari per coniare le monete, era rimasta praticamente costante. A causa di queste vicende si produsse un forte aumento nella quantita’ delle emissioni, mentre nello stesso tempo diminuì progressivamente il peso e la qualita’ della lega delle monete. Quindi le quattro zecche italiane iniziarono a differenziarsi dando vita a quattro diverse lire, legate ognuna alla propria area di influenza monetaria e al proprio denaro. Dai documenti dell’epoca risulta infatti che la lira, l’unita’ monetale di conto, intorno al 1150, fosse cosi declinata: la lira pavese equivaleva a circa 50 gr. di argento fino, la lira lucchese a circa 85 gr. e la lira veronese a poco meno di 25 grammi. Inoltre le zecche, che spesso erano appaltate, operavano secondo un criterio di profitto aziendale, per cui maggiore era la quantita’ di monete coniate e superiore era il margine di profitto. Questi sono solo alcuni tra i motivi della secolare svalutazione della lira che, pur non essendo del tutto corretta dal punto di vista della circolazione monetaria, e’ stata certamente un male minore rispetto a quello che avrebbe generato una pressione deflazionistica che, senza un efficiente e conveniente sistema creditizio, avrebbe tolto ossigeno al nascente processo di sviluppo economico. Dopo il 1150 iniziarono una serie di riforme monetarie nel territorio italico, che culminarono alla meta’ del secolo XIII. Nel 1252 a Genova venne coniato il Genovino, a Firenze nel 1253 il Fiorino, segui’ quindi Venezia che nel 1284 conio’ il Ducato d’oro detto poi Zecchino; ponendo termine in questo modo, dopo quasi 500 anni dalla riforma monetaria carolingia, al monometallismo basato sull’argento. Lira Tron Con l’andare del tempo si addivenne ad una differenziazione tra la moneta piccola, il denaro travolto di frequente dalle forze inflazionistiche e la moneta grossa, i Fiorini, Genovini e Ducati d’oro che, riservati alle transazioni internazionali e all’alta finanza, godevano di una sostanziale stabilita’, sia per ragioni economiche che per motivi di prestigio. Essendo notevolmente diversa la velocita’ di svalutazione dei due tipi di moneta, il loro rapporto di conversione slittava e quindi la moneta grossa non poteva essere un multiplo della moneta piccola, si trattava di fatto di due sistemi di circolazione monetaria diversi e distinti. Il Fiorino d’oro, equivalente esattamente a 240 denari correnti, con il passare degli anni resto’ sostanzialmente ed intrinsecamente stabile, mentre il denaro continuo’ a slittare, cosi che dopo 25 anni dalla sua coniazione il Fiorino d’oro valeva 396 denari rispetto ai 240 iniziali. Una svalutazione cosi forte porto’ le zecche a coniare i terlini, pezzi da tre denari, i quattrini, pezzi da quattro denari e cosi via i cinquini, i sesini e gli ottini. Dalla meta’ del secolo XIII l’Italia risultava divisa in quattro aree monetarie: quella della lira imperiale di Milano, quella della lira astigiana (in seguito sabauda), quella della lira genovese e quella della lira fiorentina. Nel 1472 la lira, fino ad allora entita’ monetale di conto, vide la luce come entita’ fisica e tangibile, infatti a Venezia il 27 maggio dello stesso anno, sotto il dogato di Nicolo’ Tron, venne coniato per la prima volta un pezzo d’argento puro a 948 millesimi, del peso di 6,5 grammi, in modo che valesse esattamente 240 denari. Era nata la cosiddetta “Lira Tron” che venne incisa da Antonello di Pietro detto poi Antonello della Moneta, orafo e incisore presso la Zecca di Venezia dal 1454 al 1484. [vai alla seconda parte]
Pubblicato il 22 marzo 2013 su www.noicollezionisti.it
Distribuito in base alla licenza  Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 Italy Licenza
 

La moneta dei sardi che lentamente cancellò la civiltà nuragica

Sardus Pater la moneta dei sardi che non piaceva ai nuragiciNel 238 a.C. Roma conquista la Sardegna mettendo fine al dominio punico sull'isola. Attratti dalle risorse dell'isola e perseguendo la politica di annullare ogni legame culturale con Cartagine tentano di dominare le popolazioni autoctone attraverso la forza. Ma i sardi da secoli avevano un antico legame fraterno con i cartaginesi in quanto condividevano comuni origini culturali ed avevano costruito una profonda alleanza commerciale basata sul rispetto reciproco. Quando i romani introdussero la tassazione attraverso il meccanismo fiscale della “decima” inevitabilmente scoppiò una rivolta che trovò nel cartaginese Amsicora un capo riconosciuto. Amsicora pur non essendo sardo aveva trovato sull'isola le condizioni ideali per effettuare numerosi investimenti che l'avevano portato ad essere il più ricco proprietario terriero. Per una ragione ignota ma che probabilmente si origina nella sue capacità di commercio Amsicora era riuscito anche ad essere rispettato da coloro che da sempre avevano abitato la Sardegna: i nuragici. Questi ultimi mal sopportavano sardi e cartaginesi che li avevano costretti a retrocedere verso le zone centrali dell'isola delimitando di fatto la loro terra ad una riserva in cui sopravvivere che non aveva accessi importanti alle coste sfruttate per gli scambi commerciali tra sardi e cartaginesi. Ma i nuragici trovarono i romani ancora più spregevoli di sardi e cartaginesi e decisero di aiutare Amsicora probabilmente nell'intenzione di recuperare in parte le loro terre natie. Nel frattempo Josto il figlio di Amsicora si trovò costretto a fronteggiare nei territori di Cornos l'esercito romano guidato da Tito Manlio Torquato e composto da 23.000 uomini. Quando Amsicora giunse con i nuragici nel luogo dello scontro trovò il figlio morto: massacrato insieme ai 3000 soldati che guidava. I nuragici arretrarono ancora una volta verso l'interno e Tito Manlio Torquato rinunciò ad inseguirli preoccupato della sua scarsa conoscenza del territorio. Nel frattempo a Karalis giunsero i rinforzi che Cartagine aveva promesso ad Amsicora che senza indugi attacca l'esercito romano stanziatosi nella piana di Sanluri. Dopo una lunghissima battaglia e 22.000 morti tra cartaginesi, sardi e nuragici, non sapendo più affrontare il disonore Amsicora si suicida e Cartagine perde definitivamente ogni ascendente sull'isola. Roma, interessata dal carbone, dal grano e dal sughero prodotti nell'isola, non arretrò mai di un passo e continuò per decenni a respingere le azioni di guerra organizzate da quel popolo formato da cartaginesi, sardi e nuragici. La situazione divenne sempre più intollerabile per Roma che ravvisò la necessità di un pretore forte in grado di ristabilire l'ordine pubblico. Fu individuato Marco Azio Balbo: il cognato di Giulio Cesare. Marco Azio Balbo nel 60 a.C. sbarca sull'isola con le migliori intenzioni di affrontare la situazione divenuta ingestibile e si accorge che in realtà sulle incursioni dei ribelli si era creata una vera economia di assistenzialismo ai danni dell'impero: corruzione e ruberia erano all'ordine del giorno. Marco Azio Balbo si prodigò quindi in un'opera di risanamento che fu gradita anche ai sardi e riuscendo a guadagnare il loro rispetto ma non quello dei nuragici che continuarono a combattere insieme ai cartaginesi rimasti all'interno dell'isola dopo la dissoluzione delle armate di Amsicora. Intorno al 38 a.C la situazione era nuovamente precipitata e le incursioni ribelli mettevano ormai in ridicolo l'autorità di Roma che da “padrona del mondo” non riusciva a dominare un piccolo territorio. L'impero era però passato nelle mani di Ottaviano Augusto che con le sue riforme finì per conferire a sardi e cartaginesi ancora presenti sull'isola la cittadinanza romana. Alcuni capi tribù divennero autorità governative riconosciute da Roma e per sancire tale riconoscimento fu coniata una moneta che passò poi alla storia come Sardus Pater . La moneta dei sardi era un'asse che aveva al dritto l'effigie di Marco Azio Balbo in quanto riconosciuto come fautore del dialogo tra sardi e romani ed al rovescio il profilo del Sardus Pater ovvero del capostipite del popolo sardo dal quale l'intera isola prendeva il nome. Questo eroe mitico che nel primo secolo a.C. fu citato da Sallustio aveva origini greche ma divenne “duce” di un grande esercito che i greci definirono di origine della “Libye”. Con tale esercito Sardo attraversò il mediterraneo per approdare sull'isola “Ichnusa” (antico nome della Sardegna) e costrinse i nuragici ad arretrare verso l'interno lasciandoli liberi di vivere. Il Sardus Pater era quindi un simbolo che incuteva nei sardi quel timore reverenziale utile affinchè accettassero l'economia e la tassazione romana e si illudessero di agire secondo i valori che il loro stesso capostipite aveva tramandato. Questa nuova politica perseguita dai romani funzionò: dall'introduzione del Sardus Pater le rivendicazioni dei nuragici diventarono sempre più esili fino a scomparire. La convivenza tra romani e sardi fu quindi possibile: i sardi potevano commerciare i loro prodotti con il resto dell'impero ed edificando templi al loro mitico eroe. Militarmente potevano contare sulla protezione romana senza più bisogno di mantenere un proprio esercito essendo più conveniente la carriera nell'esercito imperiale. Per accrescere il loro commercio ed il loro prestigio penetrando sempre di più nelle vite imperiale i sardi avevano bisogno di terra che veniva di volta in volta tolta ai nuragici attraverso un lento ma inarrestabile genocidio: questo essenzialmente è stato il motivo di conio della moneta dei sardi o Sardus Pater.

Pubblicato il 27 dicembre 2012 su www.noicollezionisti.it
Distribuito in base alla licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 Italy Licenza

Un Grano da 12 Cavalli la moneta rara di Ferdinando IV

Moneta raraLa monetazione lasciataci da Ferdinando I delle Due Sicilie è così variegata che non solo riesce puntualmente a mettere in disaccordo i numismatici interessati ma saltuariamente costringere a fronte di ulteriori scoperte a cambiare quei presupposti ritenuti ormai stabili. Una certa confusione e senza dubbio provocata dai rinnovati nomi del sovrano che pur chiamandosi Ferdinando Antonio Pasquale Giovanni Nepomuceno Serafino Gennaro Benedetto di Borbone fu prima Ferdinando IV di Napoli e contemporaneamente Ferdinando III di Sicilie per poi affermarsi come Ferdinando I delle Due Sicilie quando in seguito al congresso di Vienna fu nuovamente riconosciuto il Regno delle Due Sicilie che era stato diviso intorno al 1458. Conseguentemente sono giunte a noi monete dove lo stesso sovrano appare come Ferdinando IV, come Ferdinando III e come Ferdinando I. Anche i territori dove tali monete furono in corso sono sempre gli stessi e divisi in due amministrazioni indipendenti ma “federate” all'insegna di un unico re: Dominji al di Qua del Faro e Dominji al di la del Faro. Il sistema di monetazione di Ferdinando I delle Due Sicilie era quello ereditato dal padre Carlo I Re di Napoli e di Sicilia che divenne poi Carlo III di Spagna in seguito alla morte del fratello Ferdinando VI. Tale sistema prevedeva come massimo valore nominale l'oncia d'oro che Ferdinando stabilì del peso di 8,8 grammi di oro a 906,25 millesimi. Un'oncia corrispondeva alla moneta rara da 6 Ducati che aveva come sottomultipli la Doppia da 4 Ducati, lo Zecchino da 2 Ducati, la Piastra da 120 Grana, il Ducato da 100 Grana, il Tarì da 20 Grana, il Carlino da 10 Grana, il Grano da 2 Tornesi il Tornese da 6 Cavalli ed i 3 Cavalli che corrispondevano a 0,0025 parti del Ducato. Unità di riferimento era quindi il Ducato da 100 grana che era moneta di argento da 833 millesimi del perso di 22,94 grammi. Il Grano corrispondeva quindi ad un centesimo di Ducato ovvero era 0,01 Ducato: uno spicciolo alla portata di chiunque. Tuttavia questi spiccioli paradossalmente hanno la vera moneta rara nell'intera monetazione di Re Ferdinando. Nel conio in cui appare come Ferdinando IV troviamo 4 tipi della moneta da 1 Grano da 12 Cavalli: il primo tipo è coniato in rame nel 1770 con diametro di 28 mm e al dritto l'effigie del Re è contornata dalla scritta “FERDIN – IV – D – G – VTR – SIC – ET – HIER – REX” mentre al rovescio la corona reale sormonta la dicitura “GRANO – UNO – 1770”. Nel secondo tipo il diametro viene ridotto a 25,5 mm e l'effigie risulta più piccola e racchiusa intorno alla scritta “FERDINAN – IV – SICLIAR – REX” ed al rovescio non appare più la corona reale mentre viene riportato “UN – GRANO – CAVALLI – 17XII86”; la data di emissione 1786 e divisa dal “XII” che è valore nominale. Il terzo tipo è coniato dal 1788 al 1793 con stesso diametro del precedente ma effigie più grossa contornata da “FERDINA – IV – SICILIAR – REX”. Al rovescio “UN – GRANO – CAVALLI – A. - 12 – P. - (anno)”. Alcuni sottotipi sono generati dalle differenti disposizioni delle sigle dei maestri di zecca: A.P. (Antonio Planelli), R.C. (Regie Corte), C.C. (Cesare Coppola). Infine il 4° tipo, coniato nel 1797, nel 1798 e nel 1800 è formato da un'effigie simile ma differente dalla precedente e contornata dalla dicitura “FERDINAN – IV - SICILIAR – REX”. Il Grano da 12 Cavalli coniato nel 1800 è in assoluto la moneta rara del Regno delle Due Sicilie. Fabio Gigante nel suo catalogo riferisce che M. Pannuti nel volume “Il reame repubblicano del 1799” riporta che venne tirata nella misura di 278 ducati e grana 76. Dal momento che 1 ducato equivaleva a 100 grana l'emissione dovette essere di 27876 monete. Non esistono particolari motivi per un tiratura così bassa alla base della moneta rara se non quelli storici che videro in quegli anni Ferdinando allontanato dalla sua amata Napoli ad opera dei Francesi che fondarono la Repubblica Napoletana. Se pure prontamente il Re ritornò sul trono iniziò un periodo particolarmente impegnativo che si concluse solo con le condizioni sancite nel Congresso di Vienna.

Pubblicato il  29 ottobre 2012 su www.noicollezionisti.it
Distribuito in base alla licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 Italy Licenza

Double Eagle: una moneta d’oro da 7 milioni di dollari

Double Eagle
Il presidente Roosevelt firma una delle riforme del New DealLa Libertà al fronte della Double Eagle Non ha fatto molto scalpore in Italia il tour organizzato dal Gruppo Samlerhuset (società che controlla la Zecca di Londra) in collaborazione con il Museo Nazionale di storia americana “Smithsonian” di Washington.Non ha fatto scalpore anche se tra gli esemplari mostrate vi è una delle più rare monete d'oro: la Double Eagle del 1933. Con valore nominale di 20 dollari Sotheby nel 2002 conclude la serie di rilanci all'asta aggiudicandola alla cifra di 7 milioni e 600 mila dollari: si può quindi immaginare lo spiegamento di forze occorso il 3 ed il 4 marzo 2012 durante l'esposizione con ingresso gratuito presso la sala Goldsmiths a Foster Lane (Londra). Inoltre l'orario continuato dalle 10:00 alle 16:00 in una Londra già alle prese con l'organizzazione delle Olimpiadi deve aver complicato ulteriormente la messa in sicurezza ma probabilmente la tipica flemma brittannica ha dato questa volta un aiuto caratterizzando la quiete con cui l'esposizione si è svolta. Se pure il tour sia poi proseguito per Dublino, Bruxelles, Varsavia, Oslo ed Helsinky producendo ovunque un evidente motivo di turismo culturale pochissime sono state le notizie apparse in Italia e le poche si sono lette grazie alla stampa indipendente dato che quella specializzata ha voluto soprassedere continuando ad interrogarsi sulle cause di questo scarso interesse per la numismatica comune ai paesi mediterranei. Scarso interesse che trova cause prime nell'incertezza economica che sposta decisamente l'attenzione del grande pubblico verso problemi considerati più impellenti. Non vi è bacino d'accoglienza migliore di quello mediterraneo per qualsiasi avvenimento culturale ma è comprensibile come si sia ritenuto più interessato il nord-europa in ragione di una continuità culturale evidenziata dalle affini usanze. Spesso si dimentica come la storia del dollaro sia indissolubilmente intrecciata con tutti gli italiani, i greci, gli spagnoli e i provenzali che gli Stati Uniti hanno costruito fattivamente attraverso il lavoro fisico ed il discriminante uso di dialettiche non anglofone. Allegoria della Libertà al fronte della Double Eagle[/caption] Ma questi sono i fatti: il sud Europa non viene coinvolto e non sembra essere interessato anche se la storia della Double Eagle è avvincente come il migliore dei romanzi storici e non solo per l'evidente valore finanziario che rappresenta. Senza dubbio affinchè un oggetto raggiunga qualità così elevate di bene economico devono coincidere alcuni elementi: una richiesta da parte di potenziali acquirenti, la possibilità di eseguire l'acquisto e la rarità in termini puramente numerici. Per comprende come tali elementi abbiano trovato ineguagliabile convergenza in una moneta così moderna occorre fare un salto nella storia e partire dal 1933: anno in cui la moneta fu coniata e che vide insediarsi alla guida dgli Stati Uniti d'America il Presidente Franklin Delano Roosevelt. Aveva vinto le elezioni nella consapevolezza di dover dare immediata risposta a quel catastrofico evento finanziario che aveva messo il mondo occidentale in ginocchio e che sarà poi individuato come “Grande Depressione”. Evento per il quale divenne subito chiaro come non esistesse una causa scatenanante eliminata la quale fosse poi possibile procedere nella vita quotidiana: la concatenazione di eventi che presiedevano alle condizioni in cui l'economia versava richiedeva di essere affrontata attraverso altrettante concatenazioni riparatrici. Paradossalemente gli stessi errori che portarono alla “Grande Depressione” sono alla base dell'attuale crisi economica ma mentre Roosevelt ebbe il coraggio di inaugurare un “New Deal” (un nuovo corso) per contrastare il disagio sociale sempre più ampio e sempre più desideroso di un ordine nuovo, attualmente non trovasi alla guida politica di alcuna nazione figure di altrettanta caratura morale. Sopratutto fu subito compreso che l'evento interessava tutte le economie collegate da scambi internazionali di beni ed occorreva quindi agire in fretta. Roosevelt chiese “cento giorni” di fiducia per consentirgli di mettere in pratica le riforme minime necessarie a riportare l'economia degli Stati Uniti verso condizioni accettabili e li usò tutti nel tentativo di ridurre la spesa pubblica attraverso l'abbattimento degli sprechi, di riportare la tassazione ad un sistema più equo e di imporre alle banche il controllo dei prodotti finanziari. Tra le riforme che occorre segnalare ai fini di comprendere la storia della Double Eagle vi fu la sospensione di quel sistema di estinzione del debito noto come “Gold Standard”: in buona sostanza la sospensione del valore legale delle monete in oro e conseguente proibizione del loro utilizzo come forma di pagamento. Il presidente Roosevelt firma una delle riforme del New Deal[/caption] Questa riforma fu resa necessaria dall'eccessivo impiego di oro come moneta corrente dovuto alla ovvia mancanza di fiducia nella solvibilità dello Stato da parte dei risparmiatori che per mettersi al riparo dalla crisi economica continuavano a convertire moneta in oro trasferendo poi all'estero il prezioso metallo. Il 5 marzo 1933 venne quindi intimata alle banche di sospendere ogni procedura di pagamento in oro e fatto divieto ai privati di accumularne, in questo modo, benchè non fosse stato imposta la restituzione del metallo alla “Federal Reserve Bank” i piccoli risparmiatori non ebbero altra scelta ed in breve riconvertirono l'oro in banconote per un valore pari a 300 milioni di dollari. Dopo il primo mese però l'afflusso di oro verso le “Federal Bank” sembrò interrompersi e le stime del governo evidenziarono una mancanza di almeno un miliardo di dollari in valore aureo. Fu necessaria la direttiva del 5 aprile 1933 che stabiliva in 100 dollari il valore massimo accumulabile in monete d'oro ed obbligava i cittadini alla restituzione delle eccedenze. Anche questa manovra non produsse l'effetto desiderato e fu così che il 30 gennaio 1934 Roosevelt ruppe ogni indugio e firmò il “Gold Reserve Act” con il quale inequivocabilmente era sancito che tutte le monete d'oro appartenevano al governo degli Stati Uniti e che si sarebbe provveduto a ritirarle e fonderle in lingotti destinati al nuovo deposito di “Fort Knox”. In base a tali provvedimenti e dal momento che già il 5 marzo 1933 era stato di fatto sospesa la possibilità di usare monete d'oro come strumento di pagamento nessuna zecca avrebbe dovuto coniare ulteriori monete auree ma a causa di una caranza normativa tra il 15 marzo ed il 19 maggio ebbe ugualmente corso la coniazione delle monete Double Eagle ed il loro confezionamento in sacchi da 250 unità che vennero rinchiusi nei forzieri sotterranei della zecca di Philadelphia. Solo due sacchi furono affidati alla custodia del cassiere affinchè provvedese nel metterli a disposizione degli enti di verifica del peso e del titolo. Tre anni più tardi le Double Eagle chiuse nei sotterranei furono avviate alla distruzione e trasformate in nuovi lingotti. Nel frattempo 20 delle monete in custodia nella cassaforte del cassiere Harry Powell furono inviate alla zecca di Washigton per i controlli previsti. Dai registri risulta che il 2 febbraio 1934 Edward McKernan prese in carico 34 monete in qualità di custode delle camere di sicurezza firmando regolare ricevuta ma senza dichiarare le motivazioni di questo movimento anche se le monete risulteranno poi restituite al cassiere. Il 14 febbraio dello stesso anno la Commissione di Campionatura distrusse 9 Double Eagle per eseguire gli opportuni controlli ed il giorno 20 restituisce al cassiere 437 Double Eagle che insieme a quelle in carico da McKernan corrispondevano ai 471 Double Eagle regolarmente riposte in cassaforte. Il 20 marzo 1934 assume l'incarico di cassiere George McCamm che il 2 ottobre 1934 su disposizione della direttrice della zecca degli Stati Uniti Nellie Tayloe Ross (prima donna al mondo ad occupare questo incarico) invia 2 Double Eagle al museo Smithsonian Institute di Waschington affinchè vengano inserite nella collezione numismatica. Nel frattempo tutte le monete vengono trasferite presso la fusione e formalmente tutti i registri risultano regolari: 445.500 i pezzi coniati, 29 quelli distrutti nei test, 2 custoditi nella collezione dello Smithsonian e 445.465 ufficialmente rifusi. Nel 1938 il collezionista Fred Boyd durante un'esposizione organizzata a Columbus dal New York Numismatic Club mise in mostra una Double Eagle e tolse ogni dubbio sulle precedenti dicerie che affermavano una “illecita fuga” di esemplari dalla sala di fusione. Nel 1944 Tayloe Ross decise di porre fine al clamore che si stava creando intorno a queste monete ed aprì un'inchiesta chiarificatrice inviando un'interrogazione a Philadelphia che rispose copiando i dati in suo possesso ed escludendo la possibilità dell'esistenza di esemplari originali. Non convinta, la direttrice della Zecca, fece istanza affinchè venisse aperta un'indagine dai servizi segreti in quanto competenti di violazioni al “Gold Reserve Act.” Inizialmente il Capo dei servizi segreti Frank Wilson tentarono il recupero di quelli che credevano pochi esemplari in ragione di sequestro dietro rilascio dell'opportuna ricevuta ma presto si resero conto che il quantitativo di monete da recuperare era troppo alto. Occorreva quindi scoprire la fonte di fuga per poi arrivare a recuperare tutte le monete e fu scoperto che il cassiere George McCamm era il solo responsabile di tale illecito e che si era servito del gioielliere Israel Switt e del suo socio Edward Silver per architettare un vero e proprio commercio. Questi aveva giocato sull'equivoco per il quale le monete venivano contate e pesate senza controllare il millesimo e probabilmente (non fu provato all'epoca) aveva falsificato la documentazione riguardante le monete prese in carico da Edward McKernan nel 1934. In questo modo Frank Wilson, dietro confessione dell'ex cassiere e sulle dichiarazioni di Israel Switt riuscì a ricostruire l'intera vicenda e nel 1952 tutte le monete erano state recuperate. Farouk I Re dell'Egitto e del Sudan in carica dal 28 aprile 1936 al 26 luglio 1952 Tutte meno una: quella in possesso di Re Faruk. Era infatti successo che a febbraio del 1944 un funzionario dell'ambasciata egiziana si recasse presso la zecca di Washigton per conto del Sovrano d'Egitto a richiedere il permesso di esportare una moneta da inserire nell'inestimabile collezione reale che comprendeva anche grandi tesori della filatelia come una famosa busta affrancata con il “Tre Lire di Toscana”. Il funzionario aveva comprato qualche giorno prima una Double Eagle ma per effetto del “Gold Reserve Act” doveva chiedere che venisse rilasciata apposita licenza di esportazione. La moneta fu quindi presa in consegna allo scopo di verificarne l'originalità e spedita presso lo “Smithsonian” dove Theodore Belote rilasciò parere positivo. Il 29 febbraio venne dunque rilasciata licenza che l'ambasciata ritirò la mattina dell'11 marzo: tredici giorni prima che l'inizio dell'indagine di Frank Wilson bloccasse ogni possibilità di produrre nuova documentazione. Il 23 luglio del 1952 Re Faruk fu deposto da un colpo di stato ed il nuovo governo incaricò la nota casa d'aste “Sotheby's” della dispersione di tutte le collezioni reali. Il 24 febbraio del 1954 avrebbe avuto inizio l'asta ma attraverso l'Ambasciata U.S.A. al Cairo il governo americano fece istanza per recuperare la moneta. Il Presidente egiziano Naguib fece ritirare la moneta per evitare complicazioni diplomatiche ed il tutto venne messo a tacere senza alcuna spiegazione ufficiale e della moneta si perse ogni traccia. Nel 1994 il commerciante Andrè de Clermont ed il suo socio Stephen Fenton, titolari di un negozio specializzato con sede a Londra, vennero a conoscenza della possibilità che la moneta di Re Faruk fosse in vendita presso un gioielliere egiziano e nel 1995 la acquistarono per la somma di 220.000 dollari. Vendere la moneta pubblicamente negli Stati Uniti senza farsela sequestrare dalle autorità era praticamente impossibile ma riuscirono a trovare nella persona di Jasper Parrino (esperto in monete rare) un possibile alleato per tentare. L'incontro conclusivo doveva svolgersi l'8 febbraio del 1996 presso il “Waldorf Astoria” di New York alla presenza di Fenton, Parrino ed il collezionista Jack Moore che si era finto interessato all'acquisto ma in realtà aveva avvisato l'FBI trasformando in una trappola la riunione. Al momento del pagamento gli agenti federali irruppero sulla scena ed arrestarono i commercianti. Venne quindi aperto un contenzioso che si concluse il 25 gennaio 2001 con un patteggiamento in cui il governo si impegnava a mettere all'asta la moneta e dividere gli utili con Fenton che di fatto non aveva acquistato la moneta sul territorio degli Stati Uniti. La Double Eagle di Re Faruk venne quindi trasferita dall'Ufficio dell'FBI presso le “Twin Towers” verso il più sicuro deposito di “Fort Knox”: incredibilmente in tempo per evitare che l'attentato terroristico dell'11 settembre la disperdesse per sempre tra le macerie. Il 30 luglio del 2002 un anonimo collezionista si aggiudicava la moneta per 7.590.020 dollari: la storia delle Double Eagle sembrava ormai terminata. Nel 2004 l'avvocato Barry Berke, che nel 2001 aveva giù difeso gli interessi di Fenton si ripresenta davanti alle autorità in nome e per conto di Joan Switt: figlia di Israel Switt morto nel 1990 all'età di 95 anni. L'ereditiera aveva rinvenuto altre 10 Double Eagle nella cassaforte personale del padre ed era disposta a trattare con il governo degli Stati Uniti un eventuale compravendita. Le monete vennero prelevate e dopo essere state periziate dallo “Smithsonian” immeditamente trasferite a “Fort Knox”: nulla in più e dato a sapere sulla transazione se non che il legale della Switt è tutt'ora impegnato nella faccenda. Durante un interrogatorio avvenuto l'8 ottobre del 2008 Berke riuscì a dimostrare che i documenti riguardanti le 34 Double Eagle prese in carico da Edward McKernan nel 1934 se non falsi sono inutilizzabili ai fini di provare un effettivo movimento delle monete e sembra che lo stesso McKernan avesse negato di aver mai preso in carico le Double Eagle. Da allora il numero delle Double Eagle esistenti si è stabilizzato in 13 esemplari tutti sotto la custodia del Governo degli Stati Uniti d'America.

Pubblicato il 22 settembre 2012 su www.noicollezionisti.it
Distribuito in base alla licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 Italy Licenza.

Oncia da 30 tarì: il simbolo di una rinascita

Oncia da 30 tarìContrariamente a quanto una certa storiografia continui a propagandare quei “Borbone” che regnarono il Sud Italia antecedentemente all'unificazione della nazione cercarono a più riprese di mettere in luce ed esaltare la storia del loro regno attraverso lo studio di una possibile continuità con il passato più remoto. Per quanto tecniche e metodi furono errati utilizzarono i più avanzati del loro tempo anche nel riportare in vita Pompei iniziando così gli scavi che oggi, paradossalmente, lamentano più attenzione di quanto non gli fu dedicata all'epoca. Anche in tanti altri piccoli gesti simbolici, i Borbone si sforzarono sempre di sottolineare il legame storico che dava continuità territoriale ai luoghi dove regnavano. Piccolo ma illuminante esempio è la moneta nota come “oncia da 30 tarì” dove al dritto fecero incidere l'effigie del regnante mentre il retro venne adornato di una significativa “fenice”. Questa era, come è noto, un uccello della mitologia più antica già noto ai sumeri e che aveva la proprietà di poter morire per autocombustione e rinascere dalle proprie ceneri. L'uso di questa “creatura mitologica” sulla più grossa moneta argentea coniata per il Regno di Sicilia non fu quindi dettato dal caso o da un puro vezzeggiamento estetico ma dalla consapevolezza storica di quanto tale mito rappresenti simbolicamente. Per comprenderne l'importanza del messaggio che si volle far propagandare attraverso una moneta dobbiamo considerare che gli eventi si svolsero in un'epoca in cui le monete affermavano autorevolmente il possesso territoriale di un sovrano e veicolavano con forza i messaggi che il regnante voleva sottolineare. L'oncia (o più regionalmente “onza”) era una antica moneta già in uso in Sicilia all'epoca dei Normanni dopo che nel 1088 d.C. Ruggero I fondò appunto il “Regno di Sicilia”. Questa antica “onza” normanna, prima che Federico II la dividesse in 600 grana da 20 tarì era appunto formata da 30 tarì. Usando una “fenice” evidentemente nel 1732 Carlo VI del Sacro Romano Impero divenne Re di Sicilia con titolo di Carlo III volle simboleggiare quel “riportare in vita dalle ceneri” la moneta più nota dell'antico Reame e ne fece coniare una nuova e di oltre 5 centimetri di diametro affinchè fosse bene in vista il risorgere di quel Regno di cui la moneta stessa era autorevolmente rappresentativa. La “fenice” presente al retro dell'oncia da 30 tarì fu quindi utilizzata come emblema della volontà di confermare la “rinascita” del Regno di Sicilia. La stessa dicitura che contorna la “fenice” conferma questa volontà: “OBLITA EX AURO ARGENTEA RESURGIT” (dall'oblio risorge attraverso oro e argento). Dal 1734 il Regno di Sicilia in seguito alle vicende della guerra di successione polacca passa nelle mani di Carlo III di Borbone che mantenne nella monetazione l'oncia con la fenice. Nel 1759 Carlo III di Borbone fu chiamato a succedere al trono di Spagna in ragione della morte del suo fratellastro Ferdinando VI e il “Regno di Sicilia”, già divenuto “Regno delle Due Sicilie” era complementare ai territori dell'ex “Regno di Napoli”. Ferdinando III, figlio di Carlo III divenne quindi successore al trono delle due amministrazioni che più tardi si sarebbero individuate come “Dominji al di qua del Faro” e “Dominji al di là del Faro” prendendo come riferimento Napoli in relazione al faro di Messina. Ferdinando III di Borbone mutò dunque il suo nome in Ferdinando I delle Due Sicilie e perseguì la volontà paterna di mantenere separate le due amministrazioni in una “confederazione” degli stati del sud. Anche le monetazioni furono tenute distinte e l'onza da 30 tarì continuò nel suo compito di ricordare le antiche origini del Regno di Sicilia ma riportando al dritto l'effigie del nuovo sovrano. Oncia da 30 tarì La nuova incisione presenta un'immagine non proprio fedele al temperamento di Ferdinando II che vi appare come condottiero dai tratti grossolani ed il collo taurino. In realtà non vi è traccia storica di una famigliarità con tattiche di guerra e studi balistici, al contrario sembra ormai certa una atavica repulsione per la lettura che fu però vinta dalla ragione di stato. Succedette al padre a soli otto anni rimanendo a regnare con l'ausilio di un Consiglio di Stato capitanato dal toscano Bernardo Tanucci. Lo si vuole dipingere come re poco acculturato ed accorto ma in realtà dovette costringersi ad una crescita molto rapida attraverso l'esperienza quotidiana. Nulla poteva essere più rapido dell'imparare dal suo popolo quel tipico “folclore napoletano” che venne assorbito al punto di essere base dell'educazione ricevuta e che contribuirà alla nascita di un sentimento amorevole per tutto il Regno. Di fatto fu Ferdinando I a compiere gli sforzi necessari ad una rapida ripresa economica che consentì a quei territori lasciati nella totale arretratezza di confrontarsi alla pari con i più ricchi stati europei. Non riuscì però a gestire il latifondismo ereditato dall'amministrazione spagnola e nonostante gli sforzi di rendere il demanio disponibile ai contadini nullatenenti dovette cedere alle pressioni dell'aristocrazia. Più tardi sarà suo nipote Ferdinando II a riuscire nell'impresa che in ogni caso si vanificherà nelle promesse fatte dai Savoia agli stessi latifondisti in cambio dell'astensione nell'intervenire in difesa della corona borbonica e consentire così l'invasione garibaldina del mezzogiorno. Ferdinando II aveva però idee differenti sul Regno delle Due Sicilie e tralasciò la produzione dell'onza da 30 tarì che si estinse con il nonno. Fra i due sovrani si era interposto il regno del figlio di Ferdinando I: Francesco I delle Due Sicilie. Quest'ultimo però regnò per soli sei anni interessandosi esclusivamente di un'amministrazione liberal-conservatrice, ordinaria, rigorista e moralizzatrice che fece ulteriormente progredire economicamente e tecnologicamente il regno ma senza alcuna concessione alla ricerca culturale. In tutto esistono quindi solo cinque tipi con due con effigi: 2 per Carlo III e tre per il figlio Ferdinando I. Il primo tipo emesso nel 1732 ha 57 mm di diametro, il secondo del 1733 è ridotto a 55 mm. Mentre in questi due tipi l'effigie di Carlo III e pressochè identica nelle tre onze con effigie di Ferdinando si hanno incisioni sempre differenti. Il tipo emesso nel 1785 ha l'effigie molto contenuta verso l'interno della moneta che presenta un diametro di 56 mm. Nel 1791 si ha invece una effigie molto ampia e la moneta ha diametro di 55 mm mentre nel 1793 il tratto diventa grossolano ed il diametro è ridotto a 47 mm. Il peso dell'argento rimane però di 68,32 grammi in tutte le monete. Stessa sorte tocca all'incisione della “fenice”: quasi identica nelle monete di Carlo III e sempre differente in quelle di Ferdinando dove nell'ultima rivolge lo sguardo a destra quando nelle prime due è verso sinistra. Qualcuno scherzosamente, vuole vedere anche in quest'ultimo particolare una nascosta simbologia politica. 

Pubblicato il 8 settembre 2012 su www.noicollezionisti.it
Distribuito in base alla licenza  Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 Italy Licenza.

sabato 13 aprile 2013

100 lire oro 100 lire oro del 1940 L'effigie di Vittorio Emanuele III sulle 100 lire d'oro[/caption] Il “Gigante 2012 – Catalogo nazionale delle monete italiane dal '700 all'euro” a pag. 130 aggiunge alle 100 lire oro “Littore 2° tipo” una nota informativa interessante: “[...]La serie datata 1940 anno XVIII, composta dalle 100 Lire oro e dalle 20,10 e 15 Lire in argento, non è stata emessa ufficialmente. Manca l'autorizzazione del Ministero del Tesoro e non è menzionata nelle relazioni della zecca. Si tratta dell'unica serie di Vittorio Emanuele III, presente nella collezione Reale, non omaggiata dalla zecca ma dalla Banca d'Italia, tramite l'allora Governatore Azzolini che voleva in questo modo ricordare il 40° anniversario di Regno del Sovrano [...]” Non è possibile fare a meno di considerare come la nota lasci intendere ad una certa approssimazione nelle procedure burocratiche di coniazione. Le cause sono da ricercare nella cronologia degli eventi storici in in cui l'Italia si trovò invischiata se pure inizialmente un titubante Mussolini avesse preservato la nazione dagli eventi bellici. Di fatto il 3 gennaio scrive ad Hitler tentando di focalizzare l'aggressività germanica verso quello che poteva essere un obiettivo condiviso anche dagli altri stati europei: il bolscevismo di Stalin. Nella stessa lettera in realtà il “Duce del Fascismo” dà prova di avere una visione politica lungimirante ed afferma: […] Gli Stati Uniti non permetterebbero una totale disfatta delle democrazie.[...] La storia darà ragione a Mussolini di questa affermazione ma la lettera non ebbe seguito: Hitler non rispose limitandosi poi a cogliere il plauso delle nazioni contrarie a Stalin quando il successivo anno invase la Russia. In quel momento gli Stati Uniti di Roosevelt iniziarono a tessere una loro tela diplomatica cercando la formazione di una coalizione fra stati interessati ad una risoluzione pacifica e duratura. L'Italia si trovò così stretta in una morsa ed i dubbi del Duce presto divennero dubbi dell'intera nazione. Lo stesso fascismo gerarchico si spacco sulla questione dividendosi tra favorevoli e contrari all'appoggio verso la Germania . Italo Balbo, l'eroe dell'aria che aveva conosciuto gli USA durante la grande trasvolata della Crociera Nord-Atlantica e saggiato con mano lo spirito forgiante di quel pensiero liberale posto alla base della civiltà nord-americana non mancò di ricordare al Duce come egli stesso avesse definito il popolo tedesco qualche anno indietro sottolineando la profonda distanza culturale che li separava. Nel momento in cui si arrivò a progettare la destituzione di Mussolini, grazie alle vittorie tedesche, passò l'idea di un Italia filo-germanica che però non aveva alcuna affinità con l'Italia reale. Il primo di Febbraio il barone Joachin von Ribbentrop in qualità di Ministro degli Esteri della Germania Nazista intima a Mussolini di rispettare i patti ed entrare in guerra al fianco dei tedeschi. Mussolini riuscirà a temporeggiare ma Hitler inizierà lentamente la sua guerra globale invadendo Belgio, Olanda, Norvegia e Danimarca. Roosevelt e Churchil inviano ripetuti messaggi a Mussolini da prima pregandolo di rimanere neutrale e poi invitandolo a rompere l'alleanza con Hitler. Il 10 maggio con il piano “colpo di falce” la Germania scardina ogni difesa anglo-francese ed il 16 maggio di fatto anche la Francia passa sotto dominio militare tedesco. Mussolini continua a temporeggiare ma l'iniziale diffusa antipatia per i tedeschi che sembrava solido sentimento tra gli alti ranghi italiani comincia a disgregarsi ed anche Vittorio Emanuele III che prima progetto la destituzione del Duce a fronte delle continue vittorie di Hitler cambia idea ed appoggia Mussolini. Il 10 giugno Mussolini si affaccia da Palazzo Venezia per pronunciare la frase entrata ormai nella storia: [...] Combattenti di terra, di mare e dell'aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d'Italia, dell'Impero e del regno d'Albania! Ascoltate! Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia […] L'Italia intera si illude di essere salita sul carro dei vincitori appoggiando anima e corpo quella guerra che assorbirà ogni risorsa economiche con le conseguenze oggi note. Evidentemente queste tensione fecero passare in secondo piano l'anniversario del 40° anno di Regno di Vittorio Emanuele III oppure si era già consapevoli di dover riservare allo sforzo bellico ogni risorsa: anche quelle destinate ad una simile ricorrenza. [caption id="attachment_441" align="alignleft" width="150"] La moneta del 1940 aveva questo stesso rovescio[/caption] Una commemorazione la si volle in ogni caso fare e dal momento che è impensabile utilizzare dell'oro preso dalla Banca d'Italia senza che il Governatore ne sia a conoscenza e poi produrre una moneta senza che il Direttore della Zecca sia al corrente è del tutto plausibile che questi funzionari siano stati essi stessi fautori della produzione. Si trattò in realtà di una tiratura irrisoria delle 100 lire d'oro d'oro già coniate precedentemente ma con nuovo millesimo 1940: non più di una decina di esemplari di cui uno effettivamente consegnato a Sua Maestà il Re d'Italia. Questa, entrata a far parte della Collezione Reale poi donata al popolo italiano, scomparve come molti altri esemplari di cui tale raccolta era composta e quindi si perdono quasi subito le tracce. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale e la cacciata dei Savoia dall'Italia sarebbe rimasta per sempre dimenticata se non fossero concorse una serie di coincidenze che portano a ricordarla. Vittorio Emanuele III aveva un amico a cui era legato dalla stessa passione numismatica: l'Ing. Vico D'Incerti noto anche per aver diretto la “Rivista Italiana di Numismatica” dal 1902 al 1988. Nel 1970 l'Ingegnere pubblica un saggio intitolato inequivocabilmente “Una Moneta d'Oro di Vittorio Emanuele III ignorata fino ad oggi”. Il saggio viene letto dal Tenente Colonnello della Guardia di Finanza Domenico Luppino che attratto dalla rivelazione inizia a svolgere qualche indagine fino a scoprire un “Registro del Materiale Creatore della Regia Zecca” su cui effettivamente si può supporre come fossero stati movimentati i conii della moneta da 100 lire d'oro del 1940: non prova però una reale coniazione. Il ritrovamento nel catalogo personale del Re del cartellino relativo alla moneta con la scritta “Dono della Banca d'Italia” toglie ogni dubbio: la moneta esiste. La produzione non è stata regolare ma analizzando il contesto storico abbiamo un Re numismatico da commemorare, un dittatore titubante ma obbligato all'obbedienza verso la Casa Regnante, una generale euforia verso un evento catastrofico e la consapevolezza celata al popolo di non essere economicamente preparati ad affrontare tale evento. Plausibilmente qualche procedura burocratica potrebbe essere saltata allo scopo di “accontentare” il Re. Ad ogni modo nessun esemplare delle monete viene ritrovato e le indagini della Guardia di Finanza sembrano dover inseguire un fantasma. Nel 1995 però una nota casa d'asta batte una serie di monete contenute in un elegante astuccio con le iniziali della Zecca Reale impresse sul dorso: dentro è perfettamente conservata la serie completa del 1940 con tanto di 100 lire oro. Inizialmente interviene la Guardia di Finanza bloccando la vendita in modo tale che, accertata l'autenticità, lo Stato potesse poi esercitare il diritto di prelazione. Incredibilmente lo Stato rifiuta di esercitare tale diritto e l'astuccio viene aggiudicato per 110 milioni di lire ad un privato. Riapparso ancora nel 2000 presso altra asta se ne sono ormai perse le tracce: la moneta esiste e lo stato ne avvalla l'esistenza consentendone il commercio. Il dubbio sull'esistenza è tolto ma le polemiche non si placano e di tanto in tanto questa moneta torna a far parlare di se spaccando in due l'opinione pubblica tra chi vorrebbe fosse restituita allo Stato e chi trova invece giusto sia oggetto di libero mercato.

Pubblicato il  17 luglio 2012 su www.noicollezionisti.it
Distribuito in base alla licenza  Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 Italy Licenza

venerdì 12 aprile 2013

I 5 franchi coniati nel 1871 dalla Comune di Parigi

I 5 franchi coniati nel 1871 dalla Comune di ParigiNel 1938 la Repubblica Francese ha emesso un francobollo da 55 centesimi di franco commemorativo di Leon Gambetta, il quale appare occupando a mezzo busto l'intera vignetta. Essendo nato a Cahors il 2 aprile del 1838 il tributo era rivolto al centenario della nascita. Leon Gambetta era figlio di madre francese e di padre commerciante genovese emigrato in Francia. Distintosi negli studi presso il suo paese di nascita, nonostante un incidente che lo rese privo di un occhio conseguì il dottorato in legge a Parigi. Appassionato alla politica si mise presto in evidenza per le sue idee contrarie all'operato di Napoleone III ma allo stesso tempo deciso difensore della Francia durante la guerra franco-prussiana. Guerra che portò la nazione alla disfatta di Sedan, al crollo di Napoleone III ed la famigerato assedio di Parigi di cui Leon Gambetta fu protagonista entrando a pieno titolo nella storia: fu lui a proclamare alla folla in rivolta la fine del bonapartismo e l'istituzione della Repubblica Francese di cui era stato nominato Ministro dell'Interno. Siamo al 4 settembre 1870 e Parigi doveva di li a poco essere accerchiata dall'esercito Prussiano che non trovava più alcuna barriera alla sua avanzata. Il 19 settembre gli uomini del generale Helmuth Karl Bernnhard von Moltke stringevano la capitale francese in una morsa dalla quale uscirà solo attraverso un armistizio concesso il 28 gennaio 1871 al fine di approvare un governo che accettasse le condizioni di pace imposte dalla Prussia. Gambetta era nel frattempo era riuscito a rifugiarsi a Tours attraversando le linee nemiche a bordo di uno di quei palloni aerostatici passati poi alla storia come “Ballons Montès” e che avevano il compito di trasportare la posta fuori dalle mura della capitale. Da Tours riuscì ad emanare, in qualità di Ministro, un decreto che stabiliva l'ineleggibilità di quanti erano compromessi con il passato regime. Ma la maggioranza monarchica aveva già il sopravvento sulle future elezioni e fece in modo di annullare il decreto ed ottennero la maggioranza parlamentare. Il 10 maggio 1871 con la firma del Trattato di Francoforte da parte del parlamento presieduto dal Presidente Adolphe Thiers si pose fine al conflitto se pure la Francia ne uscisse umiliata e derisa. L'accordo impose la perdita dell'Alsazia e della Lorena e misure risarcitorie durissime al punto da essere insopportabili e provocare l' insorgere della popolazione già provata dalla trascorsa guerra e non più incline ad accettare ulteriori sacrifici. Scoppiò la guerra civile e venne proclamata la “Comune di Parigi”. Il 18 marzo il Presidente Thiers fu cacciato dal parlamento ed il 26 fu adottato come simbolo la bandiera rossa. La Comune si reggeva su un consiglio stipendiato con salari uguali a quelli di un operaio che si preoccupò di separare lo Stato da ogni ingerenza clericale, stabilire un istruzione gratuita ed obbligatoria per tutti i cittadini ed eliminare l'esercito permanente in favore del volontariato cittadino. In breve i “comunardi” riuscirono a prendere il controllo della città che nuovamente doveva essere stretta in un nuovo assedio del tutto interno alla nazione. Come atto fondante del nuovo governo fu coniata una moneta da 5 franchi: la moneta francese per antonomasia (anche prima dell'avvento dell'Euro la moneta da 5 franchi continuava ad essere coniata). Alla direzione della Zecca di Parigi Camelinat era succeduto ad Avrial ed insieme all'incisore Albert Barre tentò inizialmente di convincere gli altri “cittadini” a vendere l'argento necessario alla produzione dei 5 franchi ma non trovando giusto riscontro decise di fondere 196 lingotti in deposito presso la Banca di Francia. Modificando il conio già usato nel 1848, nei giorni compresi tra l'11 ed il 23 maggio fu avviata la produzione delle monete da 5 franchi. Il vecchio conio di derivazione settecentesca presentava al dritto un gruppo allegorico formato da due figure femminili allegoriche d “libertà” ed “uguaglianza” fra le quali l'erculea figura maschile rappresentava la “fratellanza”. In alto sulle tre figure presenti nella moneta da 5 franchi inequivocabile è la dicitura “LIBERTE' EGALITE' FRATERNITE'”. Al rovescio il tradizionale incrocio di rami d'olivo e di quercia racchiudono data e valore nominale ed a loro volta vengono compresi nella scritta “REPUBLIQUE FRANCAISE”. Nel contorno è inciso “DIEU PROTEGE LA FRANCE” ma in un carteggio datato 10 maggio 1896 tra il Camelinat ed il suo predecessore Avrial è riportato che in alcune monete da 5 franchi vi è una frase differente: “TRAVAIL – GARANTIE NATIONALE” ovvero “lavoro garanzia per la nazione”. Tali monete da 5 franchi avrebbero tiratura di 10.000 esemplari ma a tutt'oggi nessuna è ancora pervenuta. Se pure Camelinat non tenesse un preciso registro la tiratura complessiva sarebbe stata di 470.000 esemplari di cui 170.000 non mai emessi.

Pubblicato il 6 luglio 2012 su www.noicollezionisti.it
Distribuito in base alla licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 Italy Licenza.